Questa manovra legislativa, chiamata “riforma” ma vera rivoluzione, accorderebbe potere assoluto alla maggioranza, cioè al primo ministro e ai partiti di coalizione (in un sistema a camera unica e liste di partito, senza collegi nominali e senza costituzione). La Corte suprema e i giudici a tutti i livelli sarebbero nominati da rappresentanti politici della maggioranza, il Procuratore di Stato sarebbe “consigliere” di fiducia del premier, senza peso giuridico, le leggi approvate dalla maggioranza potrebbero essere convalidate anche se in contraddizione a leggi fondamentali, come per esempio del diritto del singolo cittadino.
Israele diventerebbe una democrazia illiberale, come le autocrazie in Ungheria e Polonia, per non dire tipo Russia. Non per nulla i capi di questi Stati sono grandi amici reciproci con Netanyahu. Questi fino a pochi anni fa aveva bloccato tendenze autocratiche all’interno del suo partito, essendo cresciuto nella democrazia occidentale e nel partito diretto a suo tempo dal legalista Beghin (nazionalista sì, ma conscio della necessità di limitare il potere esecutivo, anche perché era stato attivo a lungo sia nella resistenza al mandato coloniale britannico, sia nell’opposizione parlamentare all’egemonia socialista dell’inizio dello stato d’Israele). Ma essendo Netanyahu sotto processo di corruzione, ha dato adesso mano libera alla “riforma legislativa” che potrebbe portare all’annullamento del processo o per lo meno assicurargli giudici di sua fiducia al probabile appello.
È scoppiata così una reazione popolare non organizzata dai partiti a difesa dello stato di diritto e della democrazia, che continua a pieno volume da più di quindici settimane consecutive, e che solo i fedelissimi di Netanyahu possono disprezzare come “anarchica”.
Partecipano alle manifestazioni di massa molti gruppi che non si vedevano nelle dimostrazioni precedenti contro Netanyahu: religiosi non fanatici, liberali, accademici, innovatori tecnologici, ufficiali superiori e unità di combattimento delle riserve militari, dirigenti delle finanze, sindacalisti, professionisti: questa volta hanno ripreso possesso delle bandiere nazionali che per anni erano monopolio della destra. La protesta è riuscita a sospendere, seppure per ora solo per pochi mesi, il bliz legislativo, grazie alle minacce all’economia israeliana, dato che la “riforma” antidemocratica spaventa i mercati finanziari e gli start-up tecnologici occidentali, e anche grazie a uno sbaglio madornale di Netanyahu che ha licenziato da despota impulsivo il suo ministro della difesa, in mezzo a un’ondata terroristica.
Purtroppo gli arabi israeliani si i primi danneggiati da una autocrazia della maggioranza ebraica.
Anche il soggetto dell’occupazione prolungata dei territori palestinesi e dell’espandersi delle colonie ebraiche, sotto regime sempre più simile all’apartheid, non è al centro della protesta popolare, malgrado i vari gruppi vari che lo propongono e malgrado tutti sappiano in fondo che questo è il problema fondamentale e anche la causa dell’estremismo nazionalista e xenofobo sfruttato dai demagogi populisti come Netanyahu. L’opposizione parlamentare non è unita e senza collaborazione coi partiti arabi non si può creare un'alternativa.
Ciò che preoccupa molto è anche che il clivio tra gli oppos ...[continua]
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