Innanzitutto vorrei ringraziarvi per avermi invitato a parlare al vostro gruppo. Condividerò con voi alcune delle mie riflessioni. Innanzitutto penso che sia gli israeliani che i palestinesi stiano vivendo un trauma assai difficile da superare e che influirà sul futuro, ma permettetemi di dire che se da un lato è vero che può attenderci uno scenario molto negativo, sono possibili anche esiti positivi.
Rispetto allo scenario negativo, o per meglio dire, disastroso, non possiamo lasciare che la guerra di Gaza continui, né che si estenda anche alla Cisgiordania. Inoltre non possiamo permettere una pulizia etnica, sia che venga effettuata attraverso il trasferimento della popolazione o altri mezzi. Vorrebbe dire che l’odio o l’animosità tra i due popoli continueranno per sempre, non si fermeranno mai. Non è un ordine che possa portare alla pace, ma solo al conflitto e allo scontro continuo. Vorrei anche aggiungere che questo scenario disastroso potrebbe andare avanti per sempre, in particolare in Cisgiordania, anche considerando il fatto che ai coloni verrebbe data la possibilità di bloccare la pace.
La pace è un processo che dobbiamo immaginare non soltanto tra governi, ma anche a livello di base, nella popolazione.
Il trauma è presente sia in Israele che in Palestina, e sta rendendo più difficile risolvere le questioni e i rapporti tra gli israeliani e i palestinesi che stanno cercando una via d’uscita e vogliono la pace. Questo, però, sta diventando estremamente difficile, perché se pensiamo al trauma psicologico del 7 ottobre, oppure a quello dei sedici e più mesi di guerra nella zona di Gaza, questi due traumi diventano un blocco, e influiscono negativamente sul futuro della riconciliazione tra israeliani e palestinesi. Questo è vero per ambedue i lati. Entrambi dicono: “Non possiamo affrontare questa situazione, non possiamo accettarla, non vogliamo accettarla”. Non è soltanto un trauma psicologico, c’è anche rabbia da ambedue le parti. Ora siamo bloccati; non si cerca un futuro differente rispetto alla situazione in cui tutti stiamo vivendo, e questo ci porta in qualche modo non soltanto alla disperazione ma a una vera e propria depressione. Io parlo con i palestinesi comuni, per strada, e loro non hanno parole, non sanno dove andremo a parare, non sanno quale sarà il loro futuro. Secondo me questo tipo di contesto negativo dev’essere controbilanciato da un potenziale scenario positivo.
Come possiamo farlo? Dovremmo iniziare con il cessate il fuoco, che deve proseguire, e la possibilità di continuare la guerra o di ricominciare a colpire la Striscia di Gaza e la sua popolazione dovrebbero essere accantonate. Non sono un militare e mi sono considerato sempre un pacifista, ma davvero penso che la guerra non sia la risposta ai problemi tra israeliani e palestinesi. Non può esserlo. Penso che ci debba essere un piano congiunto per il “dopo”, e che non debba riguardare soltanto Israele e Palestina, ma coinvolgere pure le due società civili e la comunità internazionale. Questo dovrebbe anche prendere in considerazione il ruolo della autorità nazionale palestinese, l’Anp. Come possiamo dare potere all’Anp, in modo che sostenga l’amministrazione civile nella Striscia di Gaza?
Anche considerando quello che è stato proposto da chi ha parlato prima di me, l’Anp può garantire uno stato realmente democratico in Palestina. Ma questo non può succedere a meno che non vi sia un piano congiunto cui partecipino non soltanto i palestinesi e gli israeliani, ma anche tutta la comunità internazionale.
Ora, si è parlato molto di cooperazione regionale. Se ci pensiamo, la storia di Israele dal 1948 a oggi è stata una storia di guerre intermittenti. Si passa da una guerra a un’altra, poi a una terza, a una quarta, a una quinta e poi si ricomincia con un’altra guerra.
La tragedia è che Israele e la regione stessa non sono riuscite finora a trovare un modo pacifico di coesistenza, che non sia contraddistinto da guerra e conflitto. Questa è la nostra sfida. Non è quella di diventare una potenza militare. La sfida è come ricollocare pacificamente Israele nella regione. Non è un’idea semplice, avremo bisogno di qualcosa di più che di critici da una parte e negazionisti dall’altra, ma penso che debba esserci un cambiamento di passo nella politica e nella strategia israeliana e nel modo in cui vengono trattati i palestinesi. Inoltre, bisogna estendere i rapporti di Israele a tutti gli altri paesi arabi ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!