Srebrenica, zona protetta dall’Onu... Noi ci aspettavamo appunto di essere protetti. Credo di essere una delle poche donne sopravvissute alla Marcia della Morte -da Srebrenica a Tuzla. Con mia figlia abbiamo raggiunto Tuzla con un convoglio. Mio figlio è riuscito a scappare attraverso i boschi.
Ho 50 anni, potrei ancora lavorare. Prima della guerra lavoravo, ma oggi la mia azienda non esiste più. Ora al mattino mi sveglio e mi vesto, mi faccio il caffè e mi preparo per uscire, ma non ho dove andare. Tuttavia continuo a farlo… E’ anche di questo che abbiamo bisogno, di lavorare. Di avere un posto dove andare al mattino…
Sono tornata a Srebrenica due anni fa. Quello che più desidero oggi è che torni anche la vita in questa città. Faccio parte dell’associazione Donne di Srebrenica (Zene Srebrenice), che ha sede a Tuzla. L’obiettivo iniziale era quello di conoscere il destino toccato ai tanti missing, i nostri cari. La verità è ormai nota. E’ la giustizia che tarda ad arrivare. E talvolta dubito che possa compiersi.
Fu anche grazie alla nostra ostinazione che si iniziò a indagare e molte fosse comuni vennero scoperte. A quel punto sorse il problema di dove collocare i resti. Ottenere che fossero sepolti qui, che nascesse un memoriale a Potocari, all’entrata di Srebrenica, non è stata un’impresa facile. Resta ancora molto da fare, ma ci siamo riuscite. E’ difficile dire che sia un bel posto. Bello non è il termine corretto, però per noi questo è un luogo che significa molto. Dall’altra parte della strada sono state uccise migliaia di persone e noi ora stiamo seppellendo i nostri cari proprio qui.
La mia vita è più semplice rispetto a quella di molti altri sopravvissuti. Mio marito è stato ucciso nel ‘92 dalle bande di Arkan che fecero una scorreria a Srebrenica. Ma i miei figli sono ancora vivi. Mia figlia è sopravvissuta, vive all’estero però torna regolarmente e comunque ci possiamo sentire telefonicamente. Entrambi sono ancora con me, in qualche modo, sono vivi. C’è una donna, rientrata da poco, che ha perso il marito e i tre figli. Credo che per lei sia difficile essere ottimista. E la maggior parte ha una storia più simile alla sua che alla mia.
Forse da soli non ce la possiamo fare. Forse per riportare la vita a Srebrenica abbiamo bisogno che venga gente da fuori. Del resto prima della guerra a Srebrenica c’erano industrie e miniere e molti stranieri, arrivati proprio per lavorare…
Già, le donne di Srebrenica. Molte sono ancora giovani e in questi anni avrebbero potuto dedicarsi un po’ a se stesse. Purtroppo non è andata così. La maggior parte ha trascorso questi dieci anni in attesa di sapere qualcosa dei propri cari. Credo anche che qualcuno avrebbe potuto e dovuto aiutarci a porre fine a questo strazio molto tempo fa. Così che potessimo ricominciare a vivere anche per noi stesse. Ovviamente non hanno mai smesso di occuparsi dei loro figli, si sono preoccupate che andassero a scuola, se erano piccoli, e che trovassero un lavoro, se erano più grandi.
Noi comunque abbiamo deciso di non fermarci fino a che tutte le salme non saranno trovate e riconosciute. Fino a che ne rimarrà anche solo una da identificare noi andremo avanti. Lo dobbiamo alla prossima generazione.
Prima della guerra Srebrenica era una cittadina molto bella, curata. La maggior parte della popolazione apparteneva alla classe media. La nostra famiglia conduceva una vita piuttosto agiata. Durante le ferie estive e invernali eravamo soliti andare in vacanza. I nostri figli avevano la possibilità di studiare dovunque volessero. Mio figlio quando è cominciata la guerra era a Sarajevo. Io ho avuto la fortuna di avere un’infanzia felice, di sposare l’uomo che amavo e di avere dei figli. Ho sempre amato moltissimo la mia città e nonostante tutte le cose orribili che vi sono accadute io continuo a essere molto legata a questo luogo. Infatti ci sono tornata. Oggi sono sola, certo c’è la mia famiglia, ci sentiamo al telefono. Ma quello che più continua a ferirmi è che Srebrenica è una città deserta, desolata, morta. Per questo ad ogni incontro pubblico io non posso che chiedere: per favore riportate la vita a Srebrenica.
Quando sono tornata a Srebrenica non ho pensato ai miei vicini, a ciò che avrebbero detto vedendomi di nuovo qui, a come mi avrebbero accolto. A spingermi a tornare è stata anche mia madre: aveva 85 anni e, pur essendo molto malata, voleva venire a morire a casa sua. Si e ...[continua]
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