Demetrio Neri ha insegnato Bioetica presso l’Università degli Studi di Messina, è stato membro del Comitato nazionale per la bioetica e attualmente è membro della Commissione per l’etica e l’integrità della ricerca al Cnr di Roma. Tra le sue pubblicazioni: Eutanasia. Valori, scelte morali e dignità delle persone (Laterza, 1995).

Ci sono paesi nei quali il suicidio medicalmente assistito è legale; in Italia invece c’è un’ordinanza della Corte Costituzionale (207/2018) che nel sollecitare un intervento delle camere fa alcune affermazioni importanti. Può illustrarcene il contenuto?
Questa ordinanza, come una precedente della Corte tedesca alla quale accenneremo, affronta un problema non solo di tipo giuridico ma anche di tipo etico-filosofico. Il problema è quello della disponibilità o indisponibilità della vita. Si tratta di due paradigmi etico-filosofici del tutto incompatibili: o si accetta l’uno o si accetta l’altro. La Corte tedesca ha compreso proprio questa inconciliabilità dei due paradigmi e in una sentenza precedente alla prima sentenza della nostra Corte è transitata al paradigma della disponibilità della vita. Vorrei leggervi una frase molto indicativa: “Il diritto generale della personalità comprende quale espressione di autonomia personale anche un diritto alla morte autodeterminata e ciò a sua volta include un diritto al suicidio”. E aggiunge: “La decisione responsabile di concludere la propria vita non ha bisogno di alcun fondamento ulteriore o giustificazione”. Elemento determinante è la volontà del suo titolare che si sottrae a una valutazione basata su concetti generali di valore, su precetti religiosi, su modelli di società circa la vita o la morte, considerazioni di razionalità obiettiva che nulla hanno a che fare quando c’è la decisione ferma del titolare della vita di cui si tratta. La nostra Corte costituzionale, invece, anche nella sentenza del 2019, è rimasta a metà del guado. Ha voluto tener fermo il principio dell’indisponibilità, ma ha individuato una circoscritta area di costituzionalità che è in grado di consentire forme di aiuto a chi si trova in certe condizioni per porre fine alla sua vita. La nostra Corte scrive anche una frase che è bene ricordare: “Se chi è mantenuto in vita da un trattamento di sostegno artificiale è considerato dall’ordinamento attuale in grado, a certe condizioni, di prendere la decisione di porre termine alla propria esistenza tramite l’interruzione di tale trattamento, non si vede la ragione per la quale la stessa persona, a determinate condizioni, non possa ugualmente decidere di concludere la propria vita con l’aiuto di altri quale alternativa reputata maggiormente dignitosa alla predetta interruzione”. Questa frase della Corte costituzionale ricava, in base alle quattro condizioni che la Corte stessa ha stabilito (consapevolezza, patologia irreversibile, malattia che sia fonte di sofferenze reputate intollerabili e dipendenza da trattamenti di sostegno vitale) un sia pur limitato ambito di costituzionalità del diritto di chiudere la propria vita anche con l’aiuto di altri. Qual è il problema? Che quando la Corte costituzionale pone tra le quattro condizioni l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale, si riferisce a un dibattito che dura ormai da quarant’anni anche in Italia su che cos’è un trattamento di sostegno vitale. Tutti pensiamo, per esempio, all’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale o all’interruzione della ventilazione artificiale.
Su questo dibattito la legge sul testamento biologico ha posto un punto fermo, dichiarando rinunciabile anche l’idratazione e l’alimentazione artificiale. Alcune sentenze posteriori alla sentenza della Corte hanno lavorato su questo termine, “trattamenti di sostegno vitale”, proprio per evitare che si generassero discriminazioni contrarie al principio di eguaglianza tra chi è attaccato a una macchina e quindi può legittimamente sospenderla con l’aiuto di altri e chi non ha un trattamento di sostegno vitale di quel tipo a cui rinunciare. Per esempio, nel caso accaduto a Treviso, c’era un malato oncologico che non era legato a macchine, ma gli stessi trattamenti di natura oncologica sono stati considerati dal giudice, giustamente, trattamenti di sostegno vitale. C’è stata una ulteriore sentenza a Massa, e l’ultima credo a Trieste, in cui abbiamo avuto questo allargamento della nozione. Il passo in avanti compiuto dalla Corte costituzionale è stato molto importante prop ...[continua]

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