Giampietro “Nico” Berti è stato docente di Storia dei partiti e dei movimenti politici presso l’Università di Padova. Ha scritto fra l’altro: Francesco Saverio Merlino. Dall’anarchismo socialista al socialismo liberale, Franco Angeli, Milano, 1993, Libertà senza rivoluzione: l’anarchismo fra la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo, Lacaita, Manduria, 2012, Contro la storia. Cinquant’anni di anarchismo in Italia. 1962-2012, Biblon, Milano, 2016.

Nella storia del socialismo, il rapporto fra uguaglianza e giustizia sociale è sempre stato complesso, poiché a volte le due sono state identificate, mentre in altri casi le si è pensate differenti. Indicative in proposito sono le diverse posizioni dei marxisti e degli anarchici.
L’uguaglianza comunista, per esempio, è centrata sulla libertà dal bisogno, perché Marx non ritiene che il problema dell’uguaglianza abbia in sé un’autonomia pratica e teorica. Il fine del comunismo marxista, infatti, non è quello di realizzare l’uguagliamento del genere umano, quanto quello di abolire le classi attraverso l’abolizione della proprietà privata, mentre la vera uguaglianza si dovrebbe invece realizzare attuando il “diritto diseguale”, vale a dire superando la concezione egualitaria del diritto. Il problema del comunismo, perciò, non è quello di rendere gli uomini uguali (un compito impossibile), quanto quello di poter soddisfare i loro bisogni, rendendo insignificante la differenza naturale esistente tra loro. In altri termini, per il marxismo occorre “aggirare” l’ostacolo insolubile della diseguaglianza dovuta alla natura e realizzare una sostanziale uguaglianza rispetto ai bisogni.
La concezione dell’uguaglianza anarchica, specificamente in Bakunin, è pensata come universale potere di fronte al dominio...
La posizione bakuniniana differisce in modo radicale da quella marxista perché l’anarchico russo, a differenza del comunista tedesco, crede veramente alla possibilità di attuare l’uguaglianza fra gli esseri umani e se per Marx il problema consiste nel liberare gli uomini dal bisogno, per Bakunin il problema è quello di liberare gli uomini dal dominio. La concezione bakuniniana è a sua volta basata su una considerazione centrale: la sostanziale equivalenza di tutti gli esseri umani. Detta sostanziale equivalenza viene argomentata dall’anarchico sulla base di una considerazione prettamente naturalistica: “è una verità proverbiale [...] che sullo stesso albero non ci sono due foglie identiche. A maggior ragione ciò sarà sempre vero riguardo agli uomini, dato che gli uomini sono esseri molto più complessi delle foglie. Ma questa diversità lungi dal rappresentare un danno è, al contrario, una ricchezza dell’umanità. Grazie a essa l’umanità diviene un tutto collettivo in cui ciascuno completa tutti e ha bisogno di tutti; di modo che questa infinita diversità degli individui umani è la causa stessa, la base principale della loro solidarietà, e un argomento onnipotente a favore dell’uguaglianza. L’immensa maggioranza degli uomini si rassomiglia molto o almeno essi si equivalgono perché la debolezza di ognuno è compensata da una forza equivalente sotto un altro aspetto, per cui diventa impossibile dire che un uomo tolto da questa massa sia molto superiore o inferiore all’altro”. Per Bakunin, pertanto, l’uguaglianza non è un modulo ideale che richiami giudizi di valore, ma un concetto materialistico che rimanda a giudizi di fatto ed è per questo che, secondo lui, il socialismo ha senso solo se riesce a realizzare l’uguaglianza nel senso dell’uguale potere: si possono dare infatti un socialismo o una società senza classi che non includano per nulla l’edificazione effettiva di una società non gerarchica. La sola socializzazione dei mezzi di produzione è insufficiente per raggiungere l’obiettivo egualitario. Che senso avrebbe una rivoluzione che, pur abolendo la proprietà privata, mantenesse gli operai e i contadini, come tutti i lavoratori manuali, nella loro identica posizione? Nessuno, naturalmente, perché significherebbe inchiodare nuovamente le classi inferiori alle loro rispettive funzioni esecutive e dominate.
In questo contesto, una posizione del tutto particolare ha la riflessione di Proudhon.
Per quest’ultimo il problema fondamentale è un problema di conoscenza, perché non si può non essere consapevoli dell’impossibilità di pervenire a soluzioni integrali e l’esperienza umana, di per sé “intessuta di contraddizioni”, non può mai risolversi in ...[continua]

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