Michael Hill, geografo, insegnante e viaggiatore; è Fellow della Royal Geographical Society. Vive a Londra.

Partiamo dall’inizio: come ti sei appassionato alla geografia?
Quando avevo 12 anni, avevo un’insegnante di geografia davvero terribile. Un giorno addirittura arrivò a dirmi: “Penso che dovresti lasciar perdere”. Poi per fortuna se ne andò e arrivò un giovane brillante che fu per me di grande ispirazione e mi spinse a studiare e poi a insegnare la geografia. Questo la dice lunga sull’importanza degli insegnanti. Personalmente sono ancora in contatto via Facebook con molti dei miei ex studenti ed è bellissimo.
Ti piaceva insegnare?
Diciamo che amavo la mia materia.
Due sere fa sono andato a un corso d’arte, un corso di disegno dal vero. C’era un cinese che sembrava uscito dalla Cina antica: capelli lunghi, poca barba, vestiti sgargianti. Gli ho chiesto dove si fosse formato e mi ha detto: “In Cina, ma ho studiato alla London Fashion School”. A quel punto il mio cervello ha iniziato a fare click, click, click... e gli ho chiesto: “Per caso conosci o hai letto gli scritti di Donatella Barbieri?”. “Sì, è stata la mia insegnante!”. E io: “Ha insegnato a “Donna a Roma” quando era ragazza”. Una meravigliosa coincidenza! A quel punto sono entrato in Facebook per mostrargli una foto di Donatella e la immagine del profilo era stata scattata nella Gola di Cheddar, lo stesso paese dove sono nato io! È stato semplicemente incredibile.
Credo che crescere in un luogo con una geologia fantastica, grotte e cose del genere, abbia influito sulla nascita della mia passione per la geografia. Mio padre era direttore di una cava, quindi aveva vagamente a che fare con la geologia, anche se sfruttava le risorse naturali.
All’epoca tanti disprezzavano la geografia perché la consideravano una materia “facile“. Penso che abbia guadagnato rispetto negli ultimi decenni grazie a tematiche come la questione ambientale, il riscaldamento globale, ecc. Io scelsi l’Università di Durham, la quale godeva (e gode) di buona reputazione nel Paese, e aveva un ottimo e grande dipartimento di geografia. Il corso di geografia comprende così tante altre sotto-materie da renderlo, credo, un corso compiutamente onnicomprensivo. Si dice che i laureati in geografia trovino lavoro più facilmente di tanti altri e questo è il lato positivo: è generalmente considerata come la materia multidisciplinare per eccellenza. Il lato negativo, invece, è che, in molte università, i componenti maschili delle principali squadre sportive finiscono per studiare geografia, confermando implicitamente il pregiudizio di chi sostiene che sia una materia “facile“.
In che senso c’è una stretta correlazione tra l’impero e la geografia?
La geografia come disciplina a sé stante fu una conseguenza diretta dell’imperialismo, a cominciare da quello dell’antica Grecia e dell’antica Roma.
I primi documenti geografici avevano, infatti, a che fare con la compilazione di liste di beni e possedimenti disseminati nei domini imperiali, quali materiali, minerali e anche risorse umane. Vi è pertanto una correlazione stretta e interdisciplinare fra geografia e impero. Geografia significa letteralmente “descrizione“ della terra. Fondamentalmente, la prima geografia nell’antichità consisteva appunto nell’elencare le risorse naturali di cui il potere imperiale doveva impadronirsi. Queste potevano essere il suolo ricco, i minerali e, naturalmente, anche le persone, gli schiavi. Nel corso della storia, l’Impero spagnolo nel XVI secolo ha avuto una vicenda molto simile.
Gli scritti geografici riguardavano non soltanto le risorse naturali, ma anche le culture dei popoli; parliamo però sempre di persone sottomesse al potere imperiale.
Nel XIX secolo, l’Impero britannico si comportò in modo analogo. Di nuovo molti scritti riguardavano le risorse naturali, ma all’epoca, con personaggi come il capitano Cook, entravano anche elementi di scienza naturale. Oltre alle risorse naturali e umane, si descriveva anche il mondo naturale, della botanica, della biologia.
Cook portava con sé degli artisti per dipingere dettagliatamente le piante e la fauna selvatica in generale. Il progetto divenne quindi più scientifico, ma aveva ancora alla base lo stesso obiettivo: la colonizzazione attraverso lo sfruttamento delle fonti naturali. Se vogliamo, la Cina di oggi e la Russia della Wagner sono forme di neocolonialismo.
In Gran Bretagna è in corso un acceso dibattito sull’insegnamento del col ...[continua]

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