Ti è capitato di andare nelle scuole a parlare di ebrei e palestinesi, un tema oggi più che mai delicato. Mi dicevi che hai usato la tua storia.
Io sono figlio di madre ebrea. La mia mamma è stata salvata da un prete, don Valetti, che era il parroco di un paese del Piemonte, un uomo straordinario. Era stato iscritto al Partito popolare e fu escluso dall’insegnamento della religione perché antifascista. Lui ha nascosto in parrocchia mia madre e i suoi genitori. È stato addirittura incarcerato con l’accusa di proteggere gli ebrei ma poi, non avendo prove, l’hanno liberato e rimandato in canonica. Lì i miei nonni e mia madre sono rimasti fino alla fine della guerra e si è creata fra loro e il parroco una grandissima amicizia. Io l’ho conosciuto quando ero bambino perché andavamo spesso a trovarlo. Io poi sono diventato cristiano perché nella mia famiglia nessuno era credente, la mia mamma era ebrea non praticante, mio padre era un cattolico mangiapreti feroce, la mia nonna era anglicana non praticante e quindi non ero stato avviato a nessuna religione con l’idea che poi da grande avrei scelto cosa fare. Però ero un bimbo molto timido, così quando mi hanno portato alla scuola materna, mi rifiutavo di restare lì e piangevo in modo disperato. Allora hanno pensato di iscrivermi a scuola, anche se avevo solo cinque anni e hanno scelto una scuola ebraica, ma anche lì ho pianto molto. Così la mia nonna, anglicana, ha detto: “Visto che non ha voluto andare dagli ebrei, andrà dai preti”. Mi hanno portato alla scuola dei Fratelli della Sacra Famiglia dove non ho pianto e così mi hanno lasciato lì. Poi, quando frequentavo la seconda elementare, tutti i miei compagni facevano la prima comunione e per non farmi sentire diverso dagli altri, hanno deciso di battezzarmi. Dunque sono cresciuto cattolico, però con una riserva mentale su alcune cose. Per questo poi da grande sono diventato protestante. Quindi io sono ebreo, appartenente al popolo ebraico in quanto figlio di madre ebrea e come fede sono cristiano protestante.
Pensi che nel tuo impegno e anche nella tua professione di insegnante questa commistione ti sia tornata utile?
Certo, le mie radici ebraiche sono sempre state importanti, anche nel mio modo di vivere il cristianesimo. Da bambino non avevo il coraggio di dire che la mia mamma era ebrea, la sentivo come una cosa un po’ inquietante, pericolosa anche perché quando noi eravamo piccoli non è che si parlasse della Shoah. Mi ricordo che una volta alle medie c’era una professoressa con cui mi trovavo molto bene, a lei accennai queste cose e lei mi disse che non era il caso di parlarne. Era ancora un tema tabù. La mia mamma viveva in una famiglia sostanzialmente non praticante, anche le regole alimentari non erano rispettate. Per questo credo che se non ci fosse stata la persecuzione, la faccenda dell’ebraismo probabilmente per me avrebbe significato poco.
Ci racconti di quando sei andato nella scuola elementare a parlare ai bimbi?
Sono andato nella scuola della mia nipotina Anita, che adesso ha dieci anni e che allora frequentava la terza elementare, perché avevano letto un racconto di uno che aveva salvato degli ebrei, mi sembra fosse un gelataio, e lei subito aveva detto a tutti che il suo nonno era ebreo. Così le maestre mi hanno chiesto di andare a incontrare i bimbi e a parlare loro degli ebrei. È stata un’esperienza bellissima, in particolare mi hanno colpito delle bambini arabe. Io naturalmente sapevo che c’erano famiglie arabe e avevo anche qualche preoccupazione su come poteva essere accolto un discorso sugli ebrei. Poi, in realtà, forse per la bravura delle maestre, c’è stato con tutti i bimbi un dialogo continuo e molto interessante. Avevo portato delle immagini che ho fatto proiettare sulla Lim. Sono partito della storia della mia mamma e la prima slide che gli ho fatto vedere era l’immagine di un giornale dell’epoca che parlava della promulgazione delle leggi razziali e di cosa comportavano. Gli ho raccontato che la mia mamma nel ’38 aveva sedici anni e frequentava il liceo. Improvvisamente ha scoperto che non sarebbe più potuta andare a scuola e naturalmente ne era molto dispiaciuta. E ho narrato anche un episodio vissuto da lei in modo par ...[continua]
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