Puoi raccontare la tua storia?
Credo di aver preso consapevolezza dell’identità gay quando avevo circa dodici anni; in questi casi si parla di una reazione pseudo-psicologica all’assenza di una figura paterna, ma io non credo che sia necessariamente vero; comunque ho avuto questa sensazione per tutta la scuola superiore.
Sentivo anche di essere in qualche modo diverso dal resto degli uomini gay perché non mi sentivo attratta da loro e ho pensato che questo fosse una specie di interiorizzazione dell’omofobia. Ad ogni modo sentivo di essere un’altra cosa; non mi vedevo come gli altri uomini gay che mi circondavano, perché ero più femminile.
A sedici anni ho iniziato a mascolinizzarmi per rientrare in un’immagine di quello che pensavo dovesse essere un uomo gay, ho cercato di rendere più profonda la mia voce e cose del genere.
Dopo qualche anno sono emersi alcuni problemi di disagio mentale verosimilmente correlati proprio alla condizione di transessuale, quindi agorafobia, disturbo ossessivo compulsivo, ecc.
Insomma, ho iniziato a pensare di avere un’identità trans e di aver quindi bisogno di una transizione, non necessariamente medica in quel momento, ma certo sul piano sociale. Avevo ventun anni.
A ventitrè anni è diventata una specie di progetto: passare agli ormoni di transizione... Attualmente sto prendendo gli ormoni con una cosiddetta “prescrizione ponte” da parte del Servizio sanitario nazionale.
Puoi parlare della tua famiglia, del tuo background? Mi ricordo di te come di un giovane molto creativo, che amava i libri...
Ricordo di essere stato nettamente infelice fino a 12-13 anni, non conservo ricordi o emozioni specifiche a parte quelli che mi sono rimasti impressi per la tristezza o la paura. Sono stata infelice per molto tempo. Avevo una madre di fatto single e un padre a cui non ero legato. All’esterno ero una persona abbastanza creativa e divertente.
La scuola?
Ho frequentato tre scuole cattoliche di fila; a lungo ho negato che questo mi abbia influenzato, ma credo che in realtà queste esperienze abbiano contribuito al mio atteggiamento nei confronti del sesso e del genere. Erano progressiste dal punto di vista etnico, in quanto era una scuola mista; c’erano indiani e filippini, e però vigeva un clima oppressivo sul sesso e sul genere, sui diritti riproduttivi, anche se questo messaggio non veniva esplicitato verbalmente.
Ricordo in particolare che a un certo punto nella classe di mio fratello vennero divisi in due gruppi in base al fatto se erano d’accordo o meno con l’aborto; favorevoli e contrari vennero distribuiti da una parte e dall’altra della stanza e poi l’insegnante se ne uscì dicendo che i favorevoli sarebbero andati all’inferno, il che è pazzesco e molto cattolico...
Momenti come questi in qualche modo ti formano, anche se vivi in una comunità progressista come Norwich; influenzano le tue idee sulla sessualità e sul genere.
Comunque fin da piccolo avevo un aspetto molto femminile e molti insegnanti mi scambiavano per una ragazza e venivo preso in giro per questo. Credo che tutti pensassero che fossi gay ma nessuno diceva niente a riguardo; anch’io in qualche modo lo sapevo, ma non ero disposto ad ammetterlo, c’era questo senso di vergogna e, ovviamente, in una scuola cattolica non ti era permesso di esprimerlo apertamente e io non avevo quei meccanismi di supporto da permettermi di fare coming out in quel momento.
Io amo la mia famiglia, ma anche se non posso dire che fosse un ambiente ostile, non se ne parlava.
Fino all’università sono rimasto in qualche modo represso; ho fatto coming out come gay il giorno prima di andare all’università, un’idea davvero terribile, perché non ho dato loro il tempo di farsene una ragione dato che il giorno dopo partivo...
L’ho detto solo a mia madre e poi lei ha dovuto telefonare a mio padre. Lui mi ha chiamato il giorno dopo, il mio primo giorno di università. È stata una conversazione davvero imbarazzante. Comunque anche dopo il mio coming out e dopo aver parlato di questo con molti altri miei amici queer, è seguita una serie di altri coming out; era come se non fosse mai quello davvero definitivo. Credo di aver fatto coming out letteralmente sei o sette volte nel corso della mia vita. Non dovrebbe essere necessario uscire con questa sorta di annuncio o di supplica perché la gente ti accetti...
A ogni modo poi sono andato all’università, ed è stato un errore. La mia scuola era una di quelle che spi ...[continua]
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