Vengo accolto con simpatia, servito come un ospite di riguardo. Un amico comune in Italia, medico iraniano, basta come lasciapassare ed il resto è racconto di una e tante vite che scorrono in questo paese meraviglioso. "Noi non andiamo a votare da tempo, non c’è libertà in questo paese, se non sei vicino agli islamici non puoi candidarti ed i quattro attuali sono solo espressione della oligarchia che domina il paese”. Sono in molti a pensarla così in Iran oggi, anche se pare che le nuove generazioni siano mosse da una voglia irrefrenabile di cambiamento. Ma l’Iran non è Teheran e Teheran non è l’Iran! La voglia di cambiare si sente anche a Esfahan, la città famosa per la sua stupenda piazza e ricca di architetture pregiate, di ponti impreziositi da archi e portici che uniscono, in estate, le sponde di un fiume senz’acqua. La città che pare aver tradito il Presidente per appoggiare il nuovo riformismo di Moussavi. Lo si nota al bazar, i commercianti espongono i manifesti di Moussavi, partecipano alle discussioni… "No, Ahmadinejad non va bene. Parla sempre di guerra e noi vogliamo la pace. L’economia non va bene e non si vedono soluzioni” mi sussurra, con un sorriso, un panciuto commerciante dal suo negozio di stoffe ed abiti coloratissimi, circondato da un gruppo di donne in nero indaffarate a immergersi nei colori e nelle trame dei tessuti.
La rivoluzione è cominciata. E’ lenta e progressiva. Sottotraccia. Passa attraverso le ciocche dei capelli delle ragazze che sbucano dagli hijab (foulard) a loro volta sfrontatamente colorati ed a trame variegate. Ma anche dalle tuniche strette ai fianchi che lasciano intuire le curve del corpo femminile, ed i colori delle stesse tuniche sempre più in fuga dal nero classico e prescritto dal regime islamico. Poi le scarpe a volte colorate, altre volte con tacchi azzardati ed infine i visi, l’unica parte che una donna fa vedere, che quindi la rende unica e distinguibile ed allora ecco il trucco a valorizzare gli occhi, le labbra, il naso (pare che si stia diffondendo l’abitudine a rifarsi il naso). E nei bazar tele colorate, abiti succinti e scintillanti accanto ai tradizionali chador neri e coprenti. Una voglia di cambiamento nei gesti, negli atteggiamenti, nei sorrisi agli stranieri nel continuo "Where are you from? Do you like Iran? We love Italy…”.
Ma Teheran non è l’Iran e non lo è neppure Esfahan. Al Bazar di Yazd due donne, una con una tunica impreziosita da disegni color nero e senape, ha il viso coperto da una maschera facciale, l’altra, in nero, è velata fino sugli occhi. Lame di luce tagliano da est il portico del bazar, i mercanti chiamano agli acquisti ed i colori sgargianti delle tele di seta spezzano il tetro paesaggio percorso da anime nere che si mischiano ai pochi hijab rutilanti portati con disinvoltura da giovani studentesse. Yazd, la città che si affaccia sul deserto. La città delle torri a vento, antico sistema naturale di refrigerazione delle case. Alle sue porte un caravanserraglio offre riparo a chi vuole provare l’esperienza di una notte nel deserto…
Sono stanco della cucina nazional-turistica iraniana basata sul kebab di pollo o agnello con riso, chiedo a Ghadim di portarmi dove possiamo mangiare un piatto semplice e tipico dell’Iran. Per vicoli e strade laterali, accecati dal sole del mezzogiorno, ci infiliamo in una stanza con quattro tavoli e poche sedie. Due ...[continua]
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