Quanti ebrei c’erano a Mannheim prima della guerra?
Prima della Shoah a Mannheim c’erano più di 6000 ebrei e quelli che non riuscirono, o che non vollero, lasciare Mannheim furono deportati il 22 Ottobre 1940 nel campo di lavoro di Gurs, nel sud della Francia. La maggior parte non è ritornata. I deportati quel giorno non erano solo ebrei di Mannheim, ma anche del Baden e del Phalz; furono raggruppati tutti qui e poi deportati a Gurs coi vagoni. Devo dire che abbiamo la grande fortuna che alcuni sopravvissuti a Gurs sono ritornati alla nostra Comunità. E’ nostro compito tenere vivo questo ricordo e ogni anno, a Gurs e a Mannheim, ha luogo una commemorazione alla quale partecipano anche il Sindaco ed i rappresentanti della cittá.
Quindi Mannheim è una città aperta al dialogo?
E’ una domanda difficile; credo che non si possa generalizzare. Anche a Mannheim ci sono estremisti, radicali di destra e di sinistra, e anche qui da noi sono successe delle cose, anche se, grazie a Dio, non come in altre città della Germania. Devo dire che ci sentiamo protetti dai politici, a cominciare dal sindaco e dal Consiglio Comunale, dai servizi di sicurezza e dalla polizia, ma, nonostante questo, dobbiamo sempre tenere un occhio aperto sugli avvenimenti. Siamo particolarmente sensibili quando leggiamo degli scempi nei cimiteri e delle violenze contro gli stranieri o contro le minoranze. Ci sentiamo colpiti anche se, per il momento, non siamo stati toccati direttamente. Ci ricordiamo molto bene come, negli anni 1930/31, si sono individuati ed espulsi gli Ebrei. Allora eravamo una minoranza e oggi siamo ancora più minoranza. Non abbiamo mai fatto mistero di appartenere ad un’altra religione, anche se non vado in giro con un distintivo su cui sta scritto "Jude". Stiamo molto attenti a quello che succede e siamo del parere che noi ebrei non possiamo starcene seduti a guardare; come organizzazione, come Comunità Ebraica, dobbiamo essere attivi. La Germania, basata sullo stato assistenziale come tutte le democrazie del Nord, sta attraversando un periodo di crisi in seguito alle grandi trasformazioni politiche, economiche e sociali che sconvolgono il mondo di oggi. Qualcosa sta cambiando dalla riunificazione delle due Germanie e questo si avverte anche nella vita quotidiana, soprattutto fra le classi meno agiate. Disoccupazione, taglio delle spese sociali, licenziamenti di massa che colpiscono soprattutto i lavoratori tedesco-orientali, potrebbero costituire il preludio di una crisi anche nei Lander occidentali. Agli elevati costi della riunificazione tedesca, e anche dell’unificazione Europea, corrispondono notevoli sacrifici da parte della popolazione, come le restrizioni nel campo della salute pubblica, dei servizi e delle spese sociali. Quest’ultimo, preoccupante, aspetto costituisce un sintomo oltremodo indicativo della politica conservatrice perseguita dal governo di Bonn nei confronti delle minoranze e dei gruppi sociali disagiati. Non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello della cultura politica si avverte un cambiamento in senso peggiorativo. Il fatto stesso che alle frontiere orientali premano milioni di emigranti di origine tedesca, potrebbe fornire il pretesto per una ulteriore svolta conservatrice, le cui prevedibili conseguenze si rifletterebbero sul clima morale del paese. In questo clima restrittivo, di chiusura delle frontiere al Terzo Mondo, di ridimensionamento della sicurezza sociale, non si sa quanto le conquiste democratiche possano resistere all’urto prorompente del robusto conservatorismo tedesco, profittatore ideologico e politico dell’attuale situazione di recessione. In questo clima si sono succeduti fatti gravissimi. Dal ’90 ad oggi è cresciuta l’ondata di xenofobia e di razzismo. Si riflette molto sulle cause, si vivono sentimenti di incertezza e di paura, si torma a parlare del passato e, inevitabilmente, di ebrei.
In Germania l’antisemitismo non è mai scomparso?
La mia impressione è che in Germania ci sia sempre stato antisemitismo, fino ad oggi nessuno l’aveva mai espresso pubblicamente, ma oggi siamo al punto che si può fare. L’antisemitismo non è morto con ...[continua]
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