Qualche anno fa, nel 2002, hai lasciato la tua città, Verona, e il tuo lavoro di medico, e ti sei trasferita in Sardegna con tuo figlio, in campagna, cambiando radicalmente vita. Puoi raccontare?
All’origine della scelta, prima o assieme all’insoddisfazione lavorativa, c’è un figlio, Jacopo. Un figlio con un handicap importante, che lo rende non autonomo né dal punto di vista motorio, né da altri punti di vista, e il cui destino era di essere incanalato, istituzionalizzato, in luoghi che a me non piacevano per lui, questi centri occupazionali diurni, che si fondano sulla buona volontà e anche sulla competenza degli operatori, e che però restano situazioni molto standard.
Ecco, io, come tutte le madri, soprattutto se hanno figli speciali, volevo per lui qualche cosa di diverso. Volevo qualcosa tagliato sulle sue pur minime abilità, piuttosto che sui suoi difetti, sulle sue mancanze, che sono tante, certo, però metterle insieme alle mancanze di altre persone, pure stigmatizzate come manchevoli, insomma mi sembrava non fosse produttivo.
Io volevo per lui una vita che fosse il più possibile integrata con quella degli altri.
Allora, intanto pensavo che la vita in campagna potesse essere più benefica della vita in città, che tra l’altro è una foresta di barriere architettoniche: basta pensare a uno scooter sul marciapiede, o a un palo che regolarmente si trova in mezzo al marciapiede. L’idea era di trovare una soluzione di vita ma anche di lavoro, per Jacopo, con mansioni ovviamente rapportate alle sue abilità e alla sua capacità attentiva che è molto ridotta, e infine un luogo anche di scambio di relazioni.
Certo dall’idea della campagna al fatto di trovare una casa nella campagna sarda è stato un bel salto, ma per una serie di convergenze è andata così.
Conoscevamo il posto, perché ci eravamo stati in vacanza e in effetti aveva un pregio, già a prima vista, che era l’assoluta piattezza delle costruzioni e anche del podere, così quando, imprevedibilmente, è andato all’asta, l’abbiamo preso.
Il terreno, tra l’altro, era così piatto perché aveva fatto parte di un insediamento militare, era stato un piccolo aeroporto militare tedesco. In realtà le costruzioni erano precedenti, almeno una era precedente, ed era una vecchia casa colonica, tipica del Campidano alto, con il cortile centrale e lo sviluppo delle stanze tutto intorno, fatta in pietra e mattoni di paglia e fango, come si usava lì.
L’idea era quella di fare di questo luogo la nostra casa, ma anche un’attività di sostentamento, che avrebbe consentito a Jacopo di fare le sue piccole cose.
L’attività turistica ci sembrava adatta, perché lui un minimo di tempo in cucina comunque lo passa volentieri, e ha una buona capacità di interagire con le persone nuove, anzi, si diverte molto. Qui poi c’era finalmente la possibilità di avere un cane. Ecco, tutto questo ha funzionato molto bene, nel senso che lui, specialmente d’estate, che è la stagione turistica, ora ha il suo piccolo lavoro in cucina; intendiamoci, bisogna sempre essergli accanto, ma risciacqua volentieri i piatti, lava volentieri la verdura, insomma, piccole cose. E poi, con questo via vai di persone ospiti, c’è un minimo scambio, che gli fa piacere, tant’è che bisogna anche trattenerlo un attimo perché fa teatro a oltranza, però le persone che vengono sanno cosa trovano, sul sito l’abbiamo detto, c’è anche lui in carrozzina.
Abbiamo costruito anche delle aiuole sopraelevate, fatte apposta perché lui potesse andare sotto con la carrozzina, e metter le mani nella terra, avere il piacere di cogliere le fragole oppure di annusare il basilico.
La vostra idea iniziale era di proporre un luogo di vacanza accogliente anche per le persone con disabilità, ma non connotato dall’handicap o dall’offerta specifica, ma non è stato molto semplice…
In effetti noi pensavamo a un luogo molto libero, ma accogliente anche le diversità, i difetti, le disabilità. Ci abbiamo provato. Purtroppo abbiamo capito che la disabilità viene inevitabilmente istituzionalizzata. Nel senso che se tu vuoi accogliere persone che hanno queste caratteristiche, ed essere riconosciuta come tale, devi in qualche modo afferire agli organi sanitari di governo della Regione, con una serie di richi ...[continua]
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