I leader di oggi non sono responsabili di ciò che è successo nel 1989. Quella responsabilità ricade sul gruppo dirigente di allora, ed in particolare su Deng Xiaoping1, che aveva il potere decisionale. Direi che Deng Xiaoping è responsabile al 99% mentre Li Peng, proprio perché privo di facoltà decisionali, ha delle responsabilità minori, direi per l’1%.
Non penso che la classe politica insediatasi dopo il 1989, e quindi anche gli attuali dirigenti, debbano assumersi la responsabilità per il massacro. Quella decisione fu di Deng e di Deng soltanto. Tuttavia, proprio per le posizioni di potere che ricoprono, essi hanno la responsabilità di raccontare ai propri cittadini la verità. In quanto esseri umani, essi dovrebbero dar voce alle loro coscienze.
Deng diceva di essere il figlio del popolo cinese e quindi il suo compito principale avrebbe dovuto essere la difesa di quel popolo e non del Partito. Non avrebbe dovuto usare le pallottole ed i carri armati contro il popolo. Penso che Deng fosse pienamente consapevole dell’errore commesso, e che fu questa la ragione del suo successivo silenzio sulla questione. Dapprincipio Deng disse che si era trattato di rivolta, di sommossa. In seguito però nessuno ne parlò più. Perché? Divenne chiaro anche a lui che non vi era stata nessuna rivolta o sommossa, e che lui, figlio del popolo, aveva aperto il fuoco ed inviato i carri armati contro la propria madre ed il proprio padre, umiliandoli.
Anche prima di allora, ogniqualvolta sono stati commessi errori, Deng non ha mai ammesso di essere in torto. Si credeva sempre nel giusto.
Bao Tong nel 1989 era membro del comitato centrale del partito comunista cinese e consigliere di Zhao Ziyang, l’allora segretario di partito che venne sollevato da tutti gli incarichi governativi e di partito per essersi opposto all’intervento militare mirato a sopprimere le dimostrazioni. Dopo i fatti del 1989 Bao Tong è stato condannato a sette anni di carcere. Oggi vive a Pechino, sotto sorveglianza strettissima.
Pu Zhiqiang
Nel 1989 seguivo un master alla China University of Political Science and Law. Fui assorbito anima e corpo dal movimento studentesco. In quei mesi ero scontento, e con me molti altri, per svariati motivi: la corruzione, la soppressione delle libertà politiche, i limiti alla libertà di espressione, la morte di Hu Yaobang2, l’inflazione... L’insieme di questi fattori alla lunga contribuì alla formazione del movimento studentesco.
Fui incuriosito da un dazibao e cominciai a visitare altri campus universitari. Il 17 aprile insieme ad altri studenti del mio ateneo mi recai sulla piazza Tiananmen per deporre una corona alla memoria di Hu Yaobang. Tutto ebbe inizio lì. Direi che il movimento studentesco fu qualcosa di inevitabile, e nel contempo qualcosa di improvviso e spontaneo.
Ci avevano insegnato che la lotta di classe, la rivoluzione violenta, la perseveranza erano modalità del progresso storico. Avevamo studiato la storia del partito, la storia dello sviluppo sociale della Cina, la Comune di Parigi, la rivolta di Spartaco e la rivoluzione comunista, sapevamo che tutti questi moti avevano goduto di ampio supporto popolare. Ci accorgemmo che il sostegno popolare al movimento studentesco si stava consolidando e ci convincemmo della bontà delle nostre motivazioni. Credevamo fermamente di essere al centro dell’attenzione globale e della politica internazionale. Eravamo noi a scrivere la storia.
Quando fu dichiarata la legge marziale, intuii che ci sarebbero stati spargimenti di sangue, e tuttavia non provai alcuna paura: ero disposto a rischiare in prima persona e ritenevo giusto morire per la causa. All’epoca mi sentivo come il salvatore del mondo, un capo rivoluzionario.
Nell’apprendere quante persone erano morte nella notte fra il 3 ed il 4 giugno, pensai che si era trattato di un sacrificio necessario. Di certo molti altri studenti all’epoca condividevano questa idea, e cioè che lo spargimento di sangue sarebbe servito a dimostrare la ferocia del partito comunista. Il punto è che non ero minimamente sensibile ai diritti altrui. Questa prova non era affatto necessaria, specialmente perché essa ha comportato il martirio di cittadini innocenti.
Credo esistessero aspettative irrealistiche nei confronti del movimento studentesco del 1989. Noi studenti eravamo persuasi che grazie a noi si stesse consumando un progresso storico, mentre le autorità erano convinte che il nostro obiettivo ...[continua]
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