Ci puoi raccontare un po’ che cos’era il Bund?
Il Bund era nato nel 1897 a Vilnius, allora nell’impero zarista, una città abitata da polacchi, ebrei, russi, lituani. Esistevano in realtà due Bund, uno nell’impero zarista e un altro nella Polonia tra le due guerre mondiali, dal 1918 al ’39. Quello dell’impero zarista è stato il primo partito socialista della Russia imperiale. Era nato per il semplice motivo che dei lavoratori ebrei, in quel periodo, stiamo parlando degli anni ’90 dell’Ottocento, avevano cominciato a organizzarsi, più o meno come tutti gli altri lavoratori in Europa. Forse si può dire che erano più propensi degli altri abitanti dell’Impero a organizzarsi, perché i lavoratori ebrei vivevano nelle città, erano in genere più istruiti, in quanto -i maschi almeno- sapevano leggere e scrivere, altrimenti, essendo la preghiera in ebraico lettura, non si sarebbe potuto pregare. In più, rispetto ad altri lavoratori, avevano il problema di vivere in un paese in cui l’antisemitismo faceva parte della dottrina ufficiale dello Stato. Gli ebrei in quanto infedeli erano considerati in qualche modo nemici della patria e dello zar. E così nacque il partito.
Che cosa si può dire di più? Un problema che loro si pongono subito, immediatamente, è quello dei pogrom. Nel 1902 c’è un’ondata di pogrom e l’autodifesa diventa una necessità. E non è un problema di autodifesa dei quadri del partito, ma di un’intera popolazione esposta ad atti di violenza. Quindi non è terrorismo, anche se c’è un elemento terroristico forte in questa vicenda. Così si formano squadre di combattimento armate che combattono contro chi fa i pogrom.
L’uso della violenza è fondamentale per la storia del Bund ed è fondamentale anche per la figura di Marek Edelman, contrariamente a tutte le cose che possono essere dette sul pacifismo, sui buoni sentimenti, e così via.
In che senso c’entrava anche il terrorismo?
Ci sono anche atti di terrorismo che sono molto importanti per la conquista della dignità. Nel 1902, la manifestazione del 1° maggio a Vilnius viene dispersa dalla polizia e alcuni arrestati vengono flagellati sulla pubblica piazza. Allora, per vendetta, un giovanissimo apprendista calzolaio, di nome Hirsh Lekert, tenta di ammazzare il governatore di Vilnius von Wahl. Lo ferisce solo leggermente, viene catturato, condannato a morte e impiccato. Ora, tra la gente del Bund questa storia aveva fatto una grande impressione e Hirsh Lekert era diventato un eroe popolare, intorno al quale era nata una leggenda, si componevano canzoni, ballate. Allora i capi e gli ideologi del Bund, pur essendo marxisti e quindi contrari agli atti di terrorismo individuale, si allinearono al sentimento popolare e cominciarono a rivendicare quell’atto.
Tu dici che pur professando un’ideologia erano molto pragmatici. E’ giusto dire così?
Sì, ho fatto l’esempio dell’atteggiamento verso il terrorismo, ma ce ne sono tanti altri. Il loro rapporto tra la teoria e la prassi (per usare parole in uso 30 anni fa) era il contrario esatto del bolscevismo o di un’ideologia. Per esempio riguardo al problema della lingua. Il Bund, a un certo punto, ai primi del Novencento, dichiara che lo yiddish è la lingua nazionale degli ebrei, si batte per l’autonomia degli ebrei all’interno dell’impero zarista, un’autonomia legata non al territorio bensì alla cultura: un’autonomia nazional-culturale. Un intellettuale populista, Chaim Zhitlovski, che non era proprio un bundista, scrisse: "Noi non siamo il 4% di qualcosa, cioè dell’impero zarista, ma siamo il 100% di noi stessi...”.
D’altro canto il Bund era un partito che si diceva internazionalista e a rigor di logica, se tu sei internazionalista, non c’è nessun bisogno di rivendicare la tua autonomia nazionale, culturale, eccetera, eccetera. Tanto più che in quel momento i socialisti e più tardi i comunisti rivendicavano l’assimilazione degli ebrei, i liberali pure, pensavano: "In fondo prima o poi gli ebrei diventeranno come tutti gli altri, diventeranno polacchi, russi...”.
Ma i bundisti rivendicavano l’autonomia nazional-culturale perché semplicemente il loro pubblico questo voleva, e perché loro vivevano tra questa gente. La scelta dello yiddish è tutta qui: la gente con cui lavoravano parlava yiddish, quindi ne scoprirono e valorizzaro ...[continua]
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