"La spartizione della proprietà rurale, opinava la società agricola di Catanzaro, non risponde ai bisogni delle diverse classi cittadine, perché, per nove decimi, è assorbita dai ricchi proprietari.Tale mancanza di equilibrio economico, che avrebbe dovuto essere in parte corretta dalla vendita dei beni demaniali e dalla distribuzione di quelli provenienti dalle corporazioni religiose, è invece aumentata a causa del sistema adottato di venderli in grossi lotti”.
E il prefetto di Chieti: "E’ ammesso al presente che, mancando la scorta (quanto necessita all’opera degli agricoltori) spesso la lottizzazione dei fondi comunali annulla i buoni intendimenti della legge”. [...]
Il prefetto di Potenza a sua volta deplora che nella sua provincia "non si sia potuto o saputo apprezzare (sic) il beneficio della lottizzazione; ad ogni momento si lamenta lo spettacolo di possedimenti privati formati dall’agglomeramento di particelle vendute dagli assegnatari, mediante contratti veri o simulati, subito dopo averle ricevute. Gli speculatori approfittarono della debolezza del proletariato, cui mancavano e mancano sempre i mezzi, di cultura e le scorte per la semente e la concimazione della terra e per mezzo di contratti usurari, cambiati dopo qualche anno in vendite dissimulate sotto altri titoli, si sono impossessati dei lotti demaniali”.
Sentiamo anche il prefetto di Cosenza:
"Di tutte le suddivisioni attuate dopo il 1860, rimangono oggi soltanto tracce insignificanti, e rimediare con una legge varrebbe solo a ricominciare la tela di Penelope per vederla nuovamente disfare; ciò è provato dalla esperienza e suggerito dalla pratica”.
E infine il prefetto di Catanzaro, che concorda con l’opinione della società agraria di quella provincia, così riassumendola: "In alcune regioni della provincia, la maggioranza degli abitanti, distolta da altre industrie e assillata dalla miseria a tal punto che abbisogna per vivere di un delimitato lavoro giornaliero, abbandona facilmente per qualche soldo il lotto a ciascuno assegnato, col pretesto (sic!) ch’essa non ha i mezzi di valorizzarlo”. Inoltre egli ci offre i seguenti particolari riguardo al comune di Gerocarice: "I terreni demaniali lottizzati a Gerocarice nel 1869, per una estensione di circa 200 ettari, in meno di due anni erano passati in mano a diciassette proprietari”.
In qualche caso, la terra non rimase nemmeno ventiquattro ore ai contadini cui era stata assegnata, perché essi l’avevano venduta prima di entrarne in possesso. A determinare questa spoliazione volontaria dei contadini fu principalmente causa, come notavano i prefetti di Chieti e di Potenza, la mancanza assoluta di scorta, cioè di quanto è necessario per la coltivazione, senza di che la terra diventa più che inutile per i contadini, i quali si vedono costretti a sbarazzarsene al più presto e ad ogni costo per sottrarsi ad usure, di cui vedremo più avanti l’enormità".
Tuttavia, fino a poco dopo il 1860, il contadino aveva l’aiuto del Monte Frumentario, istituto combinato di Credito e di Beneficenza, cui nella stagione invernale il piccolo massaro, e finanche l’artigiano, ricorrevano per ottenere a credito da un tomolo e mezzo di grano fino a tre, corrispondenti a un ettolitro e un quarto e a due, con cui facevano la semina o si sfamavano, riscattando il loro debito con un piccolo tasso d’aumento sulla quantità al prossimo raccolto; o, quando questo era cattivo, la restituzione veniva rimessa all’anno dopo. Dal 1860 in poi, quasi tutti questi Monti Frumentari fallirono: qui gli amministratori trascuravano di esigere i debiti, là si impadronivano del grano del monte prestandolo personalmente a grande usura; altrove essi furono convertiti in banche di prestito, in qualche caso perfino in banche di credito ipotecario a profitto dei grandi possidenti! E poi era necessario che i Monti Frumentari cessassero, perché po ...[continua]
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