Ho fatto Lettere classiche per passione, senza fare un’attenta valutazione di tutte le possibilità, forse perché al liceo ho avuto una brava insegnante di greco e latino. Ricordo che mettevo via i libri di greco e mi prendeva un male allo stomaco… E mi sono detta: voglio continuare a studiarlo, così, senza nessuna idea precisa di cosa avrei fatto dopo.
Il concorso per l’insegnamento è uscito subito dopo la laurea, mentre ero in Germania per il dottorato. Sono tornata e vi ho partecipato. E tra l’altro ho vinto italiano e latino, non greco, la materia che avevo studiato di più.
Sono arrivata così all’insegnamento, in maniera non intenzionale, non consapevole. Non è stata una scelta.
Ho iniziato facendo supplenze in una scuola dei Salesiani da cui sono scappata dopo tre mesi perché nonostante la mia mancanza di esperienza e di consapevolezza ho intuito che lì c’era veramente della patologia. Poi, dopo aver fatto supplenze per cinque anni, nel 2006 è arrivata la nomina in ruolo. E’ stato quello a farmi sentire un po’ incastrata, perché finché fai delle supplenze puoi sperare sempre di cambiare ambiente, di trovare una scuola migliore.
Penso che l’insegnante sia il lavoro più bello del mondo, veramente. Perché sei sempre a contatto coi ragazzi ed è uno stimolo continuo a uscire da sé. Sai che sei lì per far crescere delle altre persone, è una responsabilità enorme però anche una grande soddisfazione quando la cosa funziona.
Ho sempre insegnato alle medie inferiori, a parte il primo anno in cui ho lavorato con gli adulti, e il rapporto coi ragazzi è sempre stato bello; è una fascia d’età che mi piace molto.
La cosa che in assoluto mi ha aiutata di più fin dall’inizio è stato il fatto di essere stata capo scout proprio con quella fascia d’età. Anche nell’approccio con gli alunni sono tornata spesso allo scoutismo.
La didattica adesso, pare ci ricorra spesso. Ricordo infatti che all’inizio chiesi qualche consiglio a una collega e lei mi raccontò di aver frequentato un corso sull’apprendimento cooperativo e mi spiegò come funzionava: devi dividere in gruppi, ognuno ha un ruolo, uno deve scrivere l’altro deve guardare il tempo...
Persino nel corso di preparazione al concorso, organizzato dai sindacati, che avevo frequentato all’epoca, sia per gli scritti che per gli orali, si parlava di apprendimento cooperativo, di lavoro per progetti, di lavorare in staff con gli insegnanti, e ricordo il mio sbalordimento nel pensare: "Ma queste cose nello scoutismo si dicono da 50 anni. E io pago per sentirmele raccontare come se fossero la Rivelazione, le ultime scoperte in fatto di didattica!”. Invece qualsiasi ragazzo che abbia fatto reparto, con queste cose ci è cresciuto nel lavoro di squadriglia; gli scout magari progettano la costruzione di un banco o di una cucina da campo, ma il metodo è sempre quello: l’ideazione, la progettazione comune, la verifica. Persino i termini ricorrevano, l’apprendimento cooperativo è praticamente il sistema delle squadriglie ideato da Baden-Powell ai primi del Novecento.
Purtroppo, nella scuola l’impostazione è molto diversa. C’è ancora molto l’idea che occorra raggiungere uno standard, un livello. Se lo raggiungi vai avanti, altrimenti no. E secondo me questo modo di pensare non aiuta; non aiuta la relazione tra insegnanti e allievi e nemmeno gli allievi a crescere.
Certo rimane il mistero: le cose a livello teorico sono state dette tante volte e in tanti modi, basta aprire un qualsiasi testo di pedagogia o assistere a una lezione universitaria, eppure quando ci si trova davanti alla classe spesso si finisce per riprodurre meccanismi e dinamiche che uno ha vissuto su di sé. Io stessa mi rendevo conto che, pur con le migliori intenzioni, ritrovandomi senza strumenti, spesso riproducevo quelli che erano stati i comportamenti dei mie insegnanti. E mi ritrovavo a dire o fare cose che mi ero riproposta di non dire o fare mai.
A parte il fatto che ho visto colleghi, magari laureati in matematica, che un libro di pedagogia non l’avevano aperto mai. La mia difficoltà più grande è stata proprio questa: trovarmi in un ambiente dove sentivo che non sarei cresciuta, non sarei diventata una brava insegnante. Mi mancavano tanti strumenti -avevo studiato greco antico, non come si gestiscono i gruppi o si trattano le problematiche dell’adolescenza, o della didattica o i problemi d ...[continua]
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