Com’è nata la Compagnia delle poete?
Con Candelaria Romero, una poeta argentina esiliata per motivi politici in Svezia che vive a Bergamo da una decina di anni, avevamo fatto una lettura di poesie a Bolzano, una semplice lettura, non teatralizzata, accompagnate da Luigi Cinque, sassofonista. Tornando in treno, chiacchierando con Candelaria e l’organizzatrice dell’evento, abbiamo cominciato a pensare a degli spettacoli con i testi delle viaggiatrici italiane della fine dell’800, primi 900, ma poi leggendo abbiamo pensato fosse più interessante concentrarci sulle viaggiatrici contemporanee, sulle migranti. Contemporaneamente anche Cristina Ali Farah, scrittrice e poetessa italiana di origine somala, si stava interessando allo stesso tema. Ci siamo sentite e abbiamo cominciato a pensare a che cosa potevamo fare. All’epoca eravamo in tre, adesso siamo più di venti.
Per cominciare ho coinvolto un’amica regista con cui avevo lavorato tanti anni fa, che gentilmente si è prestata a darci la sua struttura, una specie di circolo teatro a Roma, e a metterci a disposizione tutte le sue conoscenze per provare a fare uno spettacolo.
È nato così Acromazie, titolo scelto dalla regista, gioco di parole tra acrobazie e "senza colori”: eravamo tutte vestite di bianco, una regia un po’ sovraccarica, con dei musicisti e una ballerina molto bravi, che però rubavano un po’ di spazio alla poesia.
Lì ci è venuta l’idea di mantenere gli stessi elementi, dosandoli meglio. Abbiamo anche capito che sarebbe stato meglio gestire da sole la regia. Tanto più che la situazione era tutt’altro che semplice da gestire: essendo tutte autrici ed essendo noi stesse in scena, la povera regista si trovava a dover lottare ogni volta con dieci, quindici autrici che continuavano a interromperla e a intervenire su come dire i propri versi.
Un giorno è venuta a vedere lo spettacolo una mia amica tedesca, scenografa e scultrice, che mi ha detto: "Perché non mi mandate un vostro video? Fatevi filmare dai vostri figli, dai vostri mariti, filmatevi da sole; voglio montare una cosa mettendo pochi minuti per ciascuna”. E così abbiamo fatto, ognuna con i suoi mezzi. Lei poveretta ha dovuto fare un grosso lavoro tecnico per uniformare i formati, perché erano un disastro. Abbiamo poi montato questa cosa, che è diventata la scenografia del nuovo spettacolo, Madrigne, quello che stiamo portando in giro. Ho pensato di montare le voci allo stesso modo, ho fatto registrare a casa a ognuna un certo numero di testi, che vengono usati o come voci fuori campo o per far intervenire chi non è in scena. È come un montaggio musicale di tutte le voci, ma è anche un montaggio di significati.
Tutte le poetesse scrivono in italiano, ma da quali paesi arrivano?
Da tantissimi paesi, ci sono diverse argentine, una cilena, un’inglese, diverse croate, un’albanese, una somala, una sudafricana, un’iraniana, una rumena, una greca, un’americana, c’è una spagnola, tre francesi, una tedesca, un’austriaca. Sono tutte persone che, pur vivendo all’estero, hanno a che fare con l’italiano.
Poete e non poetesse, tutte migranti, niente uomini, perché?
Poete è stata una scelta della maggioranza, per me sinceramente era indifferente. Le donne più legate al femminismo, come Brenda Porster, ci hanno tenuto che fosse "poete”.
Migranti, innanzitutto perché lavoro criticamente su questa materia ormai da vent’anni, quindi le mie conoscenze poetiche, di approfondimento dei testi le ho fatte su questa letteratura. E poi ci sono le amicizie: c’è una forte componente umana nella scelta, non è tutto teorico, ho scelto le poete che amavo, di cui conoscevo bene i testi.
Niente uomini, inizialmente è stata una scelta quasi un po’ casuale. Anni fa si era pensato di fare un’associazione di poeti in generale, uomini e donne della migrazione: dopo un po’ di riunioni a casa mia andò a finire malissimo per le litigate degli uomini, tutte per questioni di potere tra di loro, allora ci siamo scocciate e ci siamo dette: proviamo a vedere come funziona eliminandoli. E funziona devo dire molto bene, facendo gli spettacoli ci siamo accorte che ...[continua]
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