Anna Husarska, giornalista polacca, già consulente dell’International Rescue Committee e analista dell’International Crisis Group, collabora con varie testate internazionali.

Tu sei inviata di guerra, ma quando la Russia ha invaso l’Ucraina eri in vacanza in Madagascar.
Ero in Madagascar per scrivere un libro. Sono subito rientrata, ma da quando la Russia ha invaso l’Ucraina non ho più scritto niente.
Hai avuto la notizia il 24 febbraio?
Già sapevo che era una possibilità; quando è successo, i primi tre-quattro giorni mi sono buttata sul ricamo per calmare un po’ i nervi. Poi però si è presentato il problema dei profughi arrivati in Polonia. Devo aggiungere che a casa mia sono arrivati innanzitutto i rifugiati russi della stazione televisiva Dozhd (“pioggia”), che ora sono ad Amsterdam. Hanno dovuto chiudere l’attività in Russia, perché era diventato impossibile per loro andare avanti. Appena ho saputo della situazione mi sono subito mobilitata, ho fatto delle telefonate all’ambasciata polacca di Mosca per ottenere dei visti per loro. Dopo due giorni sono arrivate delle donne ucraine.
Era molto interessante osservare questi due diversi gruppi e parlare con loro: i russi erano in condizioni fisiche perfette, ma in preda a una confusione psicologica tremenda. Le ucraine, al contrario, erano psicologicamente consapevoli della situazione, ma ogni mezz’ora chiamavano mariti, fratelli parenti, per sapere come stava andando.
C’è anche da dire che la ragazza della tv faceva parte dell’élite intellettuale russa, mentre le ucraine erano persone comuni. Non solo: quando la signora arrivata da Kiev mi ha detto dove era la sua casa, ho cercato in Google Maps e ho scoperto che viveva vicinissimo a Babi Yar. Io ho subito commentato sorpresa, per scoprire che lei non sapeva niente, ma proprio niente. Aveva trascorso tutta la vita vicino a Babi Yar senza sapere del massacro di oltre trentamila ebrei avvenuto durante la Seconda guerra mondiale. Così paradossalmente in quel momento per me era più facile comunicare con i profughi russi che con quelli ucraini. Comunque poi alcuni hanno trovato casa, altri hanno raggiunto amici altrove in Europa.
Nel mio palazzo a un certo punto abbiamo deciso di destinare uno spazio agli ucraini che avevano bisogno di un luogo dove trovare riparo. Mi sono quindi messa a cercare case e appartamenti per loro attraverso gli amici e non solo.
Dopo poco, con un amico abbiamo organizzato un crowdsourcing per acquistare una macchina per l’esercito. Sua moglie però non lo lasciava andare in Ucraina. Io sono sola, mio marito è morto due anni fa e allora ho detto: “Ci vado io!”.
Ora sono alla dodicesima macchina acquistata e portata in Ucraina.
Com’è stato il primo viaggio?
La prima volta sono andata in aereo, era l’estate del 2022; avevo comprato dei lacci emostatici, li ho messi nel bagaglio e li ho portati. Perché proprio i lacci emostatici? Perché sul “The Atlantic” avevo letto un articolo di Anne Applebaum in cui parlava di questo problema e allora ho chiamato questo ragazzo, Sasha Babic, e lui mi ha spiegato che cosa acquistare e cosa no e che il prezzo doveva aggirarsi sui venti dollari. Meno sarebbe stato un prodotto inadeguato.
Ho comprato questi articoli e con un amico franco-ceco che avevo conosciuto in Tagikistan, tra l’altro sposato con un uomo cinese, perché in Repubblica Ceca c’è il matrimonio gay; insomma, assieme siamo atterrati a Chisinau e poi in macchina abbiamo raggiunto Odessa.
Che situazione avete trovato?
C’erano questi continui allarmi, che erano una novità per le persone che mi accompagnavano. Io ho fatto la corrispondente di guerra, dunque, non ero così impressionata. Abbiamo infine consegnato il materiale a Sasha Babic, un ex poliziotto che conosce molto bene la storia dell’Ucraina, ha anche scritto un libro sulla vita sotto l’occupazione rumena nella Seconda guerra mondiale a Odessa. È sempre molto interessante ascoltarlo raccontare, sa un sacco di cose. Ora è impegnato in una commissione sulla toponomastica nella sua città. Si vuole metter mano alla toponomastica sovietica e poi le famiglie dei caduti chiedono che i loro cari vengano ricordati. Ovviamente Odessa non ha abbastanza strade per fare tutto questo. Già c’era stata una battaglia per la statua di Catarina che infine hanno tolto. Adesso c’è Pushkin che ogni tanto si trova coperto di vernice rossa...
In centro a Odessa aveva aperto un centro di raccolta beni dove i militari vanno a cercare l ...[continua]

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