Da tempo è in atto una “campagna” contro l’illuminismo, accusato di essere all’origine del totalitarismo. Puoi spiegarci?
Con la fine della seconda guerra mondiale, sancita dalla vittoria schiacciante degli alleati, ottenuta, oltre che sul piano militare anche su quello giuridico (Norimberga) si apriva un altro fronte, contro ex-alleati, i comunisti e l’Unione Sovietica. Anche in questo caso si aprì un processo, questa volta senza una corte di magistrati, ma con una corte, se così possiamo dire, di intellettuali. In fondo è vero che la società e la democrazia contemporanee hanno messo in moto il potere del giudizio, tanto giuridico che politico. Attraverso i propri rappresentanti, attraverso gli speakers, quelli che formano l’opinione pubblica, gli intellettuali che riflettono e criticano, in democrazia viene svolto un grande lavoro di giudizio pubblico, aperto, simile in effetti a un processo penale anche se non si arriva ovviamente a comminare delle condanne penali; certamente, però, si condannano idee e persone, attraverso un lavoro di analisi di testi, ricerche di prove documentarie e fattuali. E’ un’opera che non si svolge in un tribunale, ma appunto sui giornali, in televisione, attraverso libri, attraverso corsi universitari.
Ecco, dopo la fine della seconda guerra mondiale si apre un grande processo che vede sul banco degli imputati il regime comunista e sul banco dei giudici il liberalismo, non quello precedente alla prima guerra mondiale, stroncato dai regimi fascisti, ma quello formatosi nella lotta per un’Europa pacifica e democratica, quello che conosciamo noi, tempratosi, appunto, in una lotta ideale contro un nemico. Ora, questo liberalismo “della guerra fredda” non è sempre uguale e sarebbe desiderabile fare la storia delle sue varie diramazioni, caratterizzate perlopiù da una maggiore o minore apertura al dialogo: la differenza, tanto per fare un esempio, tra il liberalismo di Isaiah Berlin e il liberalismo di Norberto Bobbio, non sta nei principi, che sono uguali, ma nell’atteggiamento di fronte al nemico, di fronte al comunismo; una differenza che si spiega, probabilmente, col fatto che Bobbio aveva a che fare con un partito comunista forte il quale aveva contribuito all’avvento della democrazia in Italia; questo fatto, non di poco conto, spingeva Bobbio a distinguere fra il comunismo di Mosca e il comunismo italiano, mentre Berlin, al contrario, conosceva i comunisti che in Inghilterra, all’interno dei college, all’interno dei giornali, (lo si è scoperto nel corso del tempo) lavoravano anche nel sistema di spionaggio sovietico, a fianco, cioè, di quei comunisti di Riga da cui Berlin era scappato con la famiglia quando era bambino.
Ma in questa indagine una parte di loro come arriva a individuare l’origine di tutti i mali nell’illuminismo?
Qui mi pare ci sia tutta una storia da scrivere (e che in Italia ha scritto Michele Battini, in un bel libro che è ancora in veste manoscritta); una storia che riguarda un certo uso dell’illuminismo e che andrebbe ricostruita in modo molto più fedele di quanto non si possa fare in un’intervista (Zeev Sternhell ha dato un ottimo contributo in questo senso con il suo libro su Les anti-Lumières). Qui davvero si cammina sulle uova, però, se analizziamo il lavoro di uno storico delle idee come Berlin, o anche quello di uno storico della Rivoluzione francese come François Furet, vediamo che entrambi, alla fine delle loro ricerche sulle origini del totalitarismo o del dispotismo democratico (del regime giacobino e di quello sovietico) cercano lì, nell’illuminismo. Chiariamo: tutti pensiamo subito a Robespierre, al terrore, e questo non è difficile. Ma questi autori fanno qualcosa di più e di diverso: essi vanno alla ricerca delle idee dalle quali possono aver preso avvio quelle evoluzioni aberranti della modernità innanzitutto in un pensatore, uno fra gli altri, ma certo decisivo: Jean-Jacques Rousseau. Isaiah Berlin vede nell’accezione di libertà positiva di Rousseau una negazione della libertà individuale o liberale, perché ...[continua]
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